La Solfatara di Pozzuoli è uno dei quaranta vulcani che costituiscono i Campi Flegrei. Si tratta di un antico cratere vulcanico ancora attivo ma in stato quiescente che da circa due millenni conserva un’attività di fumarole d’anidride solforosa, getti di fango bollente ed elevata temperatura del suolo.
La Piazza di Vulcano
Già famosa durante l’epoca imperiale romana, Strabone, nel suo Strabonis geographica, la descrive come la dimora del Dio Vulcano, ingresso per gli Inferi, chiamandola Forum Vulcani. Si credeva, tra l’altro, che fosse uno dei luoghi dove avvennero le lotte tra titani definite “gigantomachie”. Viene inoltre menzionata anche da Plinio il Vecchio come Fontes Leucogei per le acque alluminose e biancastre che sgorgano ancora tutt’oggi. Durante tale periodo iniziò una prima attività mineraria per l’estrazione di bianchetto, utilizzato come stucco, che poteva essere estratto dietro un pagamento di 20.000 sesterzi.
La solfatara luogo di martiri cristiani
La Solfatara di Puteoli fu anche teatro di uno dei più conosciuti martiri della storia cristiana. Nei primi anni del III secolo d.C., mentre a Roma era Imperatore Diocleziano, vi era la piena repressione del nascente culto cristiano. A Puteoli furono arrestati dal console romano Draconzio, il diacono Sosso, e gli amici Gennaro, Fausto e Desiderio per il solo motivo di essere miscredenti: la mattina del 19 settembre 305 i quattro giovani, dopo alcune vicende che li vollero vittime delle bestie nell’anfiteatro puteolano, vennero condotti in un campo fuori città, presso l’attuale Solfatara. Una folla silenziosa osservava il loro passaggio. Una voce spezzò il silenzio: “Che cosa hanno fatto per essere condannati a questa pena orribile?”. Procolo, un diacono della Chiesa di Pozzuoli osò porre questa domanda ad alta voce. Molti si allontanarono da lui, terrorizzati. Due ragazzi, però, Eutichete e Acunzo non riuscirono a trattenersi. “Non hanno fatto niente”, gridarono, “Sono innocenti!”. Tutti e tre i giovani furono condannati alla stessa pena di coloro che avevano difeso. I sette martiri andarono incontro alla morte con dignità. Per sette volte la mannaia del boia piombò sulle loro teste. Il sangue dei primi martiri della Campania arrossò la terra di Pozzuoli. Appena le guardie si allontanarono una donna si avvicinò. Seguendo una pia usanza dell’epoca raccolse con una spugna alcune gocce del sangue del vescovo Gennaro e le versò in due piccole ampolle di vetro.
Tali vicende influenzarono moltissimo la successiva produzione artistica, difatti il martirio di San Gennaro diviene uno dei soggetti principali della pittura, in particolare dell’epoca barocca.