Un prete sui generis
Giuseppe De Criscio (1826-1911) è stato un protagonista del collezionismo erudito nell’area flegrea a partire dagli anni ’50 dell’Ottocento e sino agli inizi del Novecento. De Criscio, ordinato sacerdote nel 1852, si era formato nel Seminario Vescovile di Pozzuoli, depositario con i suoi insegnanti della tradizione antiquaria napoletana, e dove era presente, nell’atrio del cortile, una consistente raccolta epigrafica messa insieme dal vescovo Carlo Maria Rosini, poi venduta al Real Museo Borbonico nel 1855. Non stupisce, pertanto, riconoscere nel De Criscio molte di quelle caratteristiche riconducibili alle attitudini dell’antiquaria napoletana, dall’attenzione per le monete e soprattutto per le iscrizioni, alla compilazione di accurate opere sulla storia locale. Lo stesso De Criscio indica l’inizio della sua passione per l’archeologia locale:“ Io, fin dal 1856, mi son dedicato con passione straordinaria a ricercare tutte le notizie necessarie a formare una buona storia di Pozzuoli, sciupando mesi e mesi nel visitare accuratamente gli archivi della Curia, dei Canonici, della Congrega di Carità e del Municipio di Pozzuoli, le diverse biblioteche di Napoli, non esclusa quella di S. Martino, il Grande Archivio di Stato del Regno delle Due Sicilie e l’Archivio notarile delle Province di Napoli.”
La compravendita di antichità
Sin dall’inizio, all’attività storiografica ed archeologica del De Criscio si intersecava la pratica della compravendita delle antichità, fonte di interessanti osservazioni originali sul territorio flegreo ed al contempo occasione di investimento economico.
De Criscio recuperava materiali antichi anche promuovendo direttamente scavi nelle zone di Bacoli, Miseno e di Via Vigna e Via Campana a Pozzuoli.
Il periodo fra il 1860 ed il 1861 vide la caduta del Regno delle Due Sicilie, la dittatura di Garibaldi e l’Unità d’Italia. Pur in questo periodo tumultuoso il De Criscio continuava le sue attività e nel 1861 offriva al Consiglio di Amministrazione del Museo Nazionale di Napoli l’acquisto di un gruppo di stucchi e iscrizioni, provenienti da tutta l’area flegrea. Giulio Minervini, ci informa con un articolo sul suo Bullettino Archeologico Italiano del 1862, di una compravendita di stucchi provenienti da tre sepolcri scavati qualche anno prima in Pozzuoli nel fondo Fraia. Il protagonista dell’operazione è ancora una volta l’abate De Criscio.
La vicenda degli acquedotti
Nel 1881 il De Criscio pubblicò le “Notizie istoriche archeologiche topografiche dell’antica città di Pozzuoli e dei suoi due acquedotti Serino e Campano. Con modi di accrescere il volume delle acque nel secondo condotto”, che oltre ad affrontare i problemi storici e topografici dell’antica Puteoli, affrontava anche più concreti ed ai suoi tempi attuali problemi legati alle risorse idriche della città, e poneva in risalto alcune malefatte sui lavori dell’acquedotto Campano: per tale motivo, fu querelato dall’intera Amministrazione Civica e da alcuni funzionari del Comune. Assolto, nel corso degli anni ’80 e ’90 continuarono sia le pubblicazioni a carattere storico-archeologico, che le operazioni di compravendita delle antichità da parte del De Criscio, che doveva essere divenuto un punto di riferimento per i rinvenimenti occasionali nell’area dei Campi Flegrei.
Gli ultimi anni
Nel frattempo De Criscio, che cercava oramai di vendere quanto sino ad allora raccolto, nel 1896 era entrato in rapporti anche con la University of Michigan cui fu venduta una buona parte della sua collezione di manufatti ed epigrafi. Ulteriori lotti vennero ceduti dal De Criscio sino alla morte, lasciando comunque agli eredi ancora numerosi oggetti venduti solo agli inizi degli anni ’20 del Novecento.