La maggiore delle isole Flegree, vero e proprio scrigno di storia, è anche uno dei luoghi flegrei più antichi e misteriosi. Di particolare interesse, e che racconta molto sulla storia dell’isola, è la turbolenta genesi del suo nome.
L’attuale morfologia dell’isola è stata delineata da sconvolgimenti vulcanici avvenuti a partire da 150.000 anni fa fino all’ultima eruzione di 5000 anni fa che ha generato il cd. Piano Liguori (a sud-est dell’isola).
Le prime tracce umane sull’isola d’Ischia
Le prime tracce umane sull’isola sono state documentate da resti di insediamenti neolitici in località Cilento (Ischia Ponte), mentre altre tracce, meno consistenti, sono state rinvenute in altri punti dell’isola e sono databili dal 5000 a.C. fino al 3000 a.C.
Non è possibile sapere con certezza l’origine di questi primi coloni: con i risultati delle ricerche attuali è possibile fare solo supposizioni. Una di queste è quella dell’origine flegrea, poichè tra il 1978 e il 1985, furono rinvenute tracce di insediamenti con caratteri analoghi in località Bellavista presso il Comune di Monte di Procida: ciò potrebbe suggerire l’ipotesi di un nucleo stanziale sulle coste flegree, in parte poi stabilitosi sull’isola.
Pithecusa, Il mito delle “scimmie”
Xenagora, storiografo e geografo del III secolo a.C. citato da Strabone, racconta:
Compare quindi il nome Pythecusa, che in greco vuol dire “isola delle scimmie”. Ma è addirittura Plinio il primo a rigettare tale ipotesi etimologica, suggerendone una più accreditata.
Ad oggi è certo che, sull’isola non sono mai state rinvenute tracce di primati e con ogni probabilità non ne sono mai esistiti sin dalla sua formazione.
E’ perciò probabile ipotizzare che, fino al primo vero arrivo dei greci, Ischia fosse abitata da stirpi appartenenti a popolazioni Italiche. Lo storico Giuseppe D’Ascia ipotizza che tali primordiali abitanti fossero una manica di facinorosi, della foggia di Candolo ed Atlante, e che avessero scelto Ischia come covo per le loro nefandezze, rapine e brigantaggio ai danni di avventurieri e navigatori (fino all’arrivo dei Greci).
Pitecusa, l’isola della creta e del fuoco
Diverso ramo della ricerca etimologica è quello che, come suggerisce lo stesso Plinio dopo aver parlato dei Cercopi, vuole riconoscere nel termine Pithecusa la parola Pithos, che in greco antico indica un grande tipo di giara in terracotta. Quindi “l’isola dei vasi di creta”. Certamente sappiamo che l’industria di terracotta ischitana fu realmente praticata e peraltro fu anche particolarmente florida. Questi motivi appaiono certamente più concreti di quelli che sostengono l’etimologia di origine zoologica.
Altra versione è quella della presunta origine fenicia del termine: Pitecusa che starebbe a significare terra sparsa di fuoco / terra che spande fuoco.
L’arrivo dei coloni Greci
Un punto certo – e documentato – successivo agli insediamenti neolitici, è l’arrivo dei primi coloni greci attorno al VIII sec a.C. che si stabilirono definitivamente presso l’isola e presso le coste flegree, fondando Cuma. Tito Livio tramanda che Ippocle Eritreo e Megastene di Calcide furono alla guida dei primi coloni verso l’Isola d’Ischia, rispettivamente Eritresi e Calcidesi. Gli Eritresi erano istruiti alla coltura della vite e i Calcidesi maestri dell’industria della ceramica. La storia vuole che questi due popoli mai andarono d’accordo e pertanto i Calcidesi finirono per lasciare l’isola in cerca di un nuovo spazio da colonizzare: lo trovarono poco distante in Cuma. L’insediamento greco più antico in assoluto è stato rinvenuto presso Punta Chiarito, a Panza, una frazione del Comune di Forio. Il nucleo abitativo più consistente si è sviluppato invece presso l’attuale Lacco Ameno.
Con i Greci viene “importato” ad Ischia anche il mito del gigante Tifeo, a sua volta importato da miti orientali ancor più antichi. Inizialmente collocato geograficamente nella terra degli Arimi, nella regione della Cilicia, Tifeo, sconfitto da Zeus, viene gettato vivo nel Tartaro. Ad ogni suo movimento la terra trema violentemente.
Osservava già l’archeologo Giorgio Buchner:
“non deve stupire, pertanto, che siano circolati nell’isola i miti teogonici orientali e che, data la natura vulcanica dell’isola, una particolare risonanza avesse quello del “gigante dei vulcani”, magari anche quello originario dell’Ullikummi anatolico (una sorta di prototipo ittita del Tifeo esiodeo) che presso i Greci, con altro aspetto e altro nome, entra a far parte di un ciclo mitico ed epico.”
Il ricovero di Enea e l’isola delle viti
Altro nome legato alle origini dell’isola è Aenaria, l’appellativo utilizzato dai romani, derivante da la latino Aenum (di bronzo, fatto di bronzo) e che sottolinea l’altra attività più importante dell’isola oltre quella dell’industria della terracotta: l’artigianato relativo alla lavorazione dei metalli – che vengono qui portati sin dall’isola d’Elba (Ilva) per essere lavorati. Per Plinio, l’origine di questo termine legato all’isola nasce dallo sbarco di fortuna di Enea e della sua flotta presso appunto Aenaria, per trovare riparo durante una tempesta nel mar Tirreno. Nel tempo e nelle versioni degli storici il nome cambia in Enaria, Oinaria, Inaria.
Ancora una volta ritorna l’ipotesi della scimmia: si vuole che il termine derivi da Arimos, in Tirreno / Etrusco antico – appunto – scimmia (De Siano). Alcuni studiosi antichi hanno, forse forzatamente, ricondotto alle scimmie il termine e-naria, in latino ab-enaribus – senza narici, per alludere alla somiglianza fisica con tali animali.
Si parla invece di Oinaria, a quanto pare derivante dal dialetto Tirreno, che significherebbe “vitifera“, per alludere alla grande abbondanza di vigne trovata dai primi coloni greci. Chiamata anche Inarime e Arime (ne abbiamo menzioni in Omero, Virgilio, ed altri)
L’isola che non c’è
Da notare che, in Plinio, Aenaria e Pitechusa appaiono come due entità distinte. La stessa chiara distinzione la troviamo in Pomponio Mela (II 106) e Livio (VIII 22). Che Aenaria fosse solamente l’isolotto dove sorge l’attuale Castello Aragonese, distinta da Pithecusa, alle sue spalle, oppure fosse proprio un’altra isola?
in Puteolano autem sinu Pandateria, Prochyta, non ab Aeneae nutrice, sed quia profusa ab Aenaria erat, Aenaria a statione navium Aeneae, Homero Inarime dicta, Pithecusa, non a simiarum multitudine, ut aliqui existimavere, sed a figlinis doliorum. Plinio, His. Nat. III 82
La traduzione: “Nella baia di Pozzuoli si trovano queste isole: Ventotene, Procida, il cui nome non viene dalla nutrice di Enea bensí dal fatto che si distaccò [pro-chéō] dall’Aenaria, Aenaria, [già in Sisenna: fr. 125 HRR PETER] cosí chiamata perché fu l’ancoraggio delle navi di Enea, presso Omero Inarime, Pithecusa, nominata non già dal gran numero di scimmie [píthēkoi] che vi si trovavano, come ritengono alcuni, ma dalle sue manifatture di giare [píthoi]”
L’etimologia attuale
Le curiose evoluzioni dell’etimologia del nome dell’isola flegrea non si arrestarono fino al periodo aragonese. Durante la dominazione angioina, l’sola è denominata Iscla, fino all’epoca aragonese dove si arriva all’appellativo attuale: Ischia.
Sono comunque numerosi anche gli studi e le speculazioni sull’etimologia del termine Ischia – il vescovo Paolo Giovio, ad esempio, sosteneva l’origine del termine in ixion – Ischion – l’osso più robusto del corpo umano, avente la forma simile a quella dell’isola. D’Aloysio invece sosteneva che con Ischion si indicasse il forte (l’attuale Castello Aragonese) sorto con Gerone di Siracusa.
Bibliografia di riferimento:
- Storia dell’isola d’Ischia descritta da Giuseppe D’Ascia – 1867