Introduzione
Il tedesco Johann Joachim Winckelmann (Stendal, 9 dicembre 1717 – Trieste, 8 giugno 1768) è considerato uno fra i massimi teorici ed esponenti del Neoclassicismo.
Il presente articolo è stato quasi interamente scritto sulla base dello studio di Fabio Mangone intitolato “Winckelmann nel Regno di Napoli, oltre il Museo ercolanese: Pozzuoli e Paestum” pubblicato nel 2018.
I testi tra virgolette si devono intendere come citazioni integrali del suddetto studio.
La concezione dell’arte di Winckelmann
Winckelmann sostenne un’arte basata sul senso dell’armonia, su una «nobile semplicità e quieta grandezza»: i suoi ideali ebbero vastissima eco nella cultura del tempo, soprattutto nelle arti figurative, influenzando artisti come Canova, Mengs, David. (Wikipedia)
Winckelmann nel Regno di Napoli
Tra il 1758 ed il 1767, Winckelmann effettuò quattro viaggi nel Regno di Napoli alla ricerca di frammenti di antichità non ancora noti e di siti ancora privi di un’adeguato studio. (Mangone)
Winckelmann, la Vigna delle tre colonne e la scoperta del cosiddetto Tempio di Serapide
Proprio in quegli anni, a Pozzuoli erano iniziati gli scavi della Vigna delle tre colonne che furono condotti per conto della Casa reale di Napoli.
Si sperava che si potesse dar luogo a una seconda Ercolano anche grazie ad alcune note fornite in margine ad alcune riedizioni (la prima inglese del 1753 e la seconda francese del 1755) delle non autorizzate Observations sur les antiquités d’Herculanum, dell’architetto francese Jérôme-Charles Bellicard. (Mangone)
“A Roma se ne aveva notizia attraverso i disegni del tour flegreo degli architetti Robert Adam e Charles Louis Clérisseau. Il supposto legame dell’edificio scavato con i culti egizi lo rendeva ancor più attrattivo, nonostante le difficoltà di condurre uno studio” a causa della stretta vigilanza che vi era intorno al monumento. Infatti, sugli scavi puteolani, il governo napoletano pretendeva un riserbo pari a quello riguardante le antichità di Ercolano, concedendo con molta difficoltà le visite e proibendo i disegni. (Mangone)
Il clima di mistero e di riserbo intorno alle scoperte archeologiche
“Qualche notizia era trapelata, subito dopo la metà del secolo, con i resoconti fatti dal grecista e antiquario di corte Giacomo Martorelli al suo corrispondente fiorentino Anton Francesco Gori. Quest’ultimo aveva pubblicato, in forma anonima e senza il permesso delle autorità borboniche, le trentasei lettere sulle scoperte antiquarie nel napoletano che massimamente trattavano di Ercolano, e solo in qualche caso davano notizie frammentarie anche dei ritrovamenti di Pozzuoli, senza tuttavia fornire alcuna adeguata esegesi del monumento. (A.F. Gori, Symbula letterariae opuscula varia, 10 voll., Ex Tipographio Palladis, Roma 1751-52)” (Mangone)
“Carenti di una lettura generale del complesso erano altresì le poche pagine e gli scarni dettagli grafici, non corredati da una planimetria, pubblicati dal Bellicard. (J.-C. Bellicard, Observations upon the Antiquities of the town of Herculaneum, discovered at the foot of Mount Vesuvius, with some reflections on the painting and sculpture of the ancients: and a short description of the antiquities in the neighbourhood of Naples, Wilson & Durham, Londra 1756)” (Mangone)
“La curiosità per un complesso architettonico abbastanza singolare e difficilmente riconducibile alle tipologie codificate da Vitruvio era accresciuta dal fatto che, a seguito del ritrovamento nell’estate 1750 di una statuetta raffigurante Serapide (portata nel Museo ercolanese, ma tenuta riservata), si era diffusa la tesi di un tempio dedicato ai culti egizi: una tesi di cui Winckelmann già prima di venire a Napoli era a conoscenza e della quale dubitava. Sul preteso Tempio di Serapide, nel 1757 si era incentrato un articolo di John Nixon nella rivista della Royal Society di Londra, corredato di una prima planimetria con una ricostruzione ideale; oltre a fornire una classica interpretazione antiquaria del monumento, l’autore si soffermava sul fenomeno di erosione delle colonne, concludendo che dovevano essere state a lungo sommerse e probabilmente scavate dai litodomi marini. (J. Nixon, An Account of The Temple of Serapis at Pozzuoli in the Kingdom of Naples, In a Letter to John Ward, in “Philospophical Transaction of the Royal Society of London”, L, 1757)” (Mangone)
“Al complesso di Pozzuoli si era interessato anche il medico locale Giovanni Sirignano, che nel 1753 aveva mandato al fiorentino Gori una sua relazione, ottenendo che non venisse pubblicata per evitare problemi con il governo borbonico. Della sua tesi, aveva reso partecipi molti intellettuali napoletani, tra cui l’abate Galiani.” (Mangone)
Esplorazioni archeologiche
“Indirizzati dall’ufficiale napoletano conte Felice Gazzola, si avventurarono nel 1750 fino a Paestum alcuni architetti, facenti parte del gruppo di studiosi che accompagnava il fratello di madame de Pompadour, il marchese di Marigny.” (Mangone)
Si trattava della “medesima spedizione in cui Bellicard poté approfondire il sito della Vigna delle Tre colonne.” (Mangone)
“A differenza dell’escursione a Paestum, Winckelmann non riferì mai di una visita al luogo del cosiddetto Tempio di Serapide. Mentre è ancora a Napoli, a maggio del 1758, in una lettera a Gian Lodovico Bianconi si lamentò” che non si permetteva ad alcuno, nemmeno a Pozzuoli di prendere misure o di fare disegni; “ma, nel successivo agosto, già partito da Napoli, procurò allo stesso Bianconi una relazione dettagliata.” (Mangone)
La relazione di Winckelmann sul Tempio di Serapide
“La relazione era corredata da una planimetria dello stato di fatto, relativamente corretta nel descrivere proporzionatamente l’impianto generale: nel testo scritto come nel grafico, l’errore sul numero delle colonne rotte (considerate nel numero di due anziché di uno) non soltanto porta ad escludere una ricognizione approfondita, ma ha fatto addirittura dubitare di un sopralluogo diretto, che se vi fu dovette essere fugace. In ogni caso, nel pur prudente riferimento ad una stanza da bagno, e soprattutto nella convinzione espressa che al di dietro delle colonne, nella zona non scavata, potesse situarsi il tempio vero e proprio, rispetto al quale l’impianto quadrangolare pavimentato doveva fungere da atrio, riecheggiavano gli inediti studi di Sirignano, di cui Winckelmann dovette avere cognizione. Tra le informazioni indirette relative al sito segnalava soltanto la notizia appresa da un letterato napoletano (probabilmente Martorelli) di un’iscrizione riferita ai tempi di Commodo che non gli era riuscito di rintracciare nel Museo di Portici.” (Mangone)
Le riflessioni di Winckelmann
In ogni caso, Winckelmann propose una riflessione sulla singolare erosione alla base delle colonne, tra le primissime di cui abbiamo notizia: “Queste colonne sono state traforate e terebrate a guiso de’buchi grossi d’un dito fatti col trapano, scavati da certi vermi testacei di quella sorta che fecero, anni orsono, tanto danno agli argini in Olanda. Descritti da varij, ma meglio di tutti da Godofredo Sellio nel suo dottissimo libro De Teredine marina.” (Mangone)
Conclusioni
“In realtà, già a partire dal secondo viaggio, nel gennaio 1762, era scemato in Winckelmann l’interesse per una conoscenza più ravvicinata dei siti monumentali campani, ancorché mancassero ancora studi esegetici seri, che sarebbero arrivati solo più tardi. Non abbiamo notizia infatti di suoi nuovi sopralluoghi, o di nuovi studi, nonostante che a Pozzuoli – dove non si scavava più – erano di molto allentati i controlli, mentre Paestum era rimasta liberamente frequentabile. Non approfondì nemmeno la conoscenza del bellissimo stucco in un ambiente sommerso del cosiddetto Tempio di Mercurio a Baia, i cui disegni gli erano stati mostrati a Roma dall’architetto scozzese Robert Adam, e di cui comunque parlerà in Monumenti antichi inediti.” (Mangone)
In Winckelmann, “era ormai tramontata l’idea di farsi esegeta del supposto tempio di Pozzuoli e di Paestum, anche se, incidentalmente, considerò acquisite le pur circoscritte cognizioni raccolte a suo tempo, come sarebbe dovuto accadere nei suoi intenti con delle riflessioni sul sito puteolano nella seconda edizione delle Osservazioni, come nel 1762 aveva annunciato – dopo aver finalmente potuto vedere la effige di Serapide – a Volkmann.” (Mangone)
Un grazie a Gennaro Di Fraia che, a suo tempo, mi diede l’idea per questo articolo.